La Biblioteca comunale “Passerini-Landi”, fondata con decreto del 15 maggio 1784 dal duca Ferdinando di Borbone, ha sede nel complesso di San Pietro, già casa del Collegio Gesuitico dalla fine del XVI secolo. Donazioni ed acquisizioni hanno accresciuto progressivamente, nel corso dei secoli, un ragguardevole patrimonio che, ad oggi, raggiunge quasi 300mila volumi. Biblioteca di pubblica lettura e biblioteca storica di conservazione, l'istituzione è profondamente legata al territorio piacentino. Tra i suoi obiettivi vi è anche quello di conservare e valorizzare la “memoria locale”, raccogliendo, conservando e valorizzando il materiale edito nella provincia di Piacenza. Il fondo locale riveste, dunque, una particolare importanza per chi voglia approfondire gli studi legati alle tradizioni e al dialetto del nostro territorio.
I padri della nostra letteratura
In questa sezione proporremo brevi profili biografici dedicati ai personaggi di Piacenza che si sono occupati, a vario titolo, di letteratura dialettale. A corredo, verranno pubblicate foto di materiali iconografici e documentali relativi al personaggio. Iniziamo il nostro percorso con Valente Faustini.
Chi era Valente Faustini
Valente Faustini (Piacenza 1858 – Piacenza 1922), con le sue poesie e con le sue prose dialettali, è stato uno dei maggiori interpreti della tradizione vernacolare piacentina.
Valente Faustini nacque a Piacenza il 4 marzo 1858, in una casa posta al numero civico 77 di via Garibaldi (allora via del Guasto), vicino a piazza Borgo [sulla facciata esterna della casa di via Garibaldi, il Comune di Piacenza vi appose, il 20 aprile 1947, una lapide per ricordare il “poeta vernacolo mirabile interprete dell'anima popolare piacentina”]. Compiuti gli studi ginnasiali e liceali al Collegio Maria Luigia di Parma, si iscrisse alla Regia Accademia scientifico-letteraria di Milano, laureandosi in Belle Lettere. Nel 1882 ebbe la cattedra di latino-italiano nel ginnasio comunale, poi regio, di Piacenza (che aveva sede allora in via Taverna) ove insegnò fino alla morte, avvenuta il 24 aprile 1922. Abitò in via Mandelli, nel palazzo della Banca d'Italia che allora ospitava anche appartamenti concessi a privati.
A parte gli anni degli studi superiori ed universitari, la vita di Faustini si legò tutta a Piacenza e, prima di morire, lasciò un desiderio: “e quand me sarò morto portatemi in Piazza”.
Il 27 aprile 1922, prima di raggiungere la chiesa di Santa Teresa, ove si svolsero i funerali, Piacenza tributò in Piazza un omaggio ad uno dei suoi massimi cantori. La produzione letteraria del Faustini è imponente (la raccolta delle Poesie dialettali edita dalla Cassa di Risparmio di Piacenza negli anni 1967-1978 è composta di otto volumi). Il nucleo più considerevole riguarda Piacenza considerata nei suoi aspetti più vari, dagli scorci ai luoghi-simbolo dal tema gastronomico a quello dell'emigrazione.
Agostino Marchesotti
Agostino Marchesotti (Piacenza1839 – Piacenza 1894), con la sua poesia ricca di brio, festività, eleganza e scioltezza di stile, fu tipografo e poeta vernacolare, ma, più precisamente, lo si può definire come “un cronista poetico della seconda metà dell'Ottocento piacentino".
Agostino Marchesotti nacque a Piacenza il 13 novembre 1839 da Gaetano e Matilde Corazza. La famiglia, per ragioni di lavoro, si trasferì ad Alessandria, dove il fanciullo compì i corsi delle elementari. Non potendo, per ragioni familiari, terminare gli studi ai quali si sentiva portato, entrò come fattorino-apprendista in una tipografia di quella città, passando poi al ruolo di compositore e impaginatore. Nel 1859 la tipografia piacentina “Tagliaferri" lo chiamò tra i suoi operai e il giovane Marchesotti tornò così a Piacenza. Attorno alla tipografia gravitava un gruppetto di sinceri patrioti coi quali il poeta, dotato di vivi sentimenti italiani, contrasse dimestichezza e amicizia. Il suo amore per la patria e l'ammirazione per Garibaldi lo spinsero a partecipare nel 1860 alla spedizione dei Mille. Ritornato a Piacenza nel '61, riprese il suo lavoro nelle principali tipografie del tempo, fino a quando, nel 1881, il libraio piacentino Vincenzo Porta, che aveva unito alla libreria una stamperia, lo associò alla sua ditta, affidandogli la direzione di quest'ultima che prese il nome di “Marchesotti e C.". Ad essa dedicò tutta la sua operosità e competenza artistica, portandola a un notevole sviluppo e fama che durarono oltre la sua morte. Fu il primo che a Piacenza applicò il motore a gas alle macchine tipografiche. Dalla tipografia Marchesotti uscirono accurate ed eleganti edizioni di vari autori, e, in preziosi volumetti, ornati di xilografie, quasi tutti i suoi componimenti poetici. Nel 1890 fu colpito da una grave malattia agli occhi che ridusse, in parte, la sua attività di tipografo. Nel frattempo, la stima del poeta era andata crescendo, sia per i suoi sentimenti di vivo patriottismo, sia per l’attività di tipografo e per le sue poesie dialettali, molto diffuse in mezzo al popolo, tant’è che i giornali dell’epoca ci attestano come i suoi funerali rivestirono l’aspetto di un vero e proprio lutto cittadino.
La sua attività letteraria cominciò tardi, nel 1880. Probabilmente il Marchesotti, conscio della sua carenza di formazione intellettuale, che era andato man mano accrescendo, volle attendere lo sviluppo del suo bagaglio culturale prima di affrontare il pubblico con le sue composizioni. Analizzando il suo canzoniere, composto da ventiquattro liriche, si può notare come le direzioni tematiche seguite siano essenzialmente due: quella patriottica e quella della sua Piacenza. Alla celebrazione dei suoi ideali patriottici, già da lui vissuti concretamente, ha dedicato due componimenti, tra cui La mort ad Garibald. Tutte gli altri hanno come motivo ispiratore la sua amata città: egli fu, infatti, il cantore a pieno ritmo delle feste agostane, senza dimenticarsi di decantare anche gli avvenimenti politici cittadini, ai quali lui stesso prese parte, o anche fatti ed avvenimenti più minuti della cronaca paesana (tra questi, il più famoso e popolare è sicuramente Al tramvai dal Pont dall'Oli, con cui viene celebrato il primo trenino a vapore della nostra provincia). Il canzoniere ha, quindi, un valore non piccolo di documentazione del costume piacentino dell'epoca e anche di quella linguistica, per l'uso di vocaboli tipicamente popolari di cui egli si fa prezioso testimone.
Il calore “sotterraneo" e spesso palese che corre in queste rievocazioni della città di fine Ottocento può essere considerato il suo merito principale. Il valore poetico è molto relativo e solo in alcuni punti egli riesce a sollevarsi dalla pura cronaca, superando la narrazione in versi, per raggiungere la poesia. Sicuramente la mancanza di una solida cultura gli impedì di raggiungere più alte vette, ma la spontaneità della sua scrittura riesce a riscattare, almeno parzialmente, questa debolezza culturale e a farne un poeta vivo. Felicemente lo ha descritto G. Pantaleoni su Libertà (1 aprile 1974): “Marchesotti ha una sua vena facile, spontanea in cui la parlata si tinge di frizzo ironico e delle metafore gioiose…".
Agostino Marchesotti si può considerare, dunque, un vero cronista poetico di Piacenza, che rimase prima di tutto un poeta popolaresco e “popolare" nel vero senso del termine. Egli stesso, infatti, ben conscio dei propri limiti poetici e culturali, assunse umilmente lo pseudonimo di “Macari al Zavattein", il che diede occasione al Faustini di assumere, con altrettanta umiltà, quello di “Al garzon ad Macari".
Pietro Sforza Fogliani
Pietro Sforza Fogliani, classe 1851, nato a Borgonovo, fu un grande appassionato di poesia, che coltivò sia a livello di lingua italiana che dialettale. La sua opera più famosa fu la raccolta che pubblichiamo, edita in occasione delle nozze del fratello Alberto ed uscita coi tipi della stamperia Marchesotti. I componimenti sono quasi una cinquantina e l’argomento è il più vario: dalla politica (I comunista, L’elezion) alla società, alla ritrattistica in cui propone una sorta di galleria dei personaggi della Piacenza del tempo. Morì, in giovane età, ad Agazzano nel 1877.
Vincenzo Capra
Vincenzo Capra è stato uno dei maggiori poeti dialettali piacentini dell'Ottocento. Nato nel 1816, autodidatta, di professione prima calzettaio poi portinaio, coltivò con grande impegno le sue passioni. Riuscì a dare alle stampe una quarantina di composizioni, la maggior parte delle quali dedicate alla città di Piacenza. Troviamo riferimenti a personaggi (come il vescovo Scalabrini), a monumenti (Palazzo del Governatore), ad accadimenti (la sommossa scoppiata nel periodo del Carnevale 1846, fatti patriottici e politici del suo tempo). Come sottolineato nel libro Antologia di poeti dialettali piacentini dell'Ottocento (a cura d E. Cremona, E. Malchiodi e G. Tammi, Piacenza, 1976), i temi della poesia di Capra sono vari: canti civili e patriottici, avvenimenti della sua città, impegno morale che rivela un animo di uomo laborioso. Morì a Piacenza il 19 gennaio del 1886.
Saluti da Piacenza
Il Fondo fotografico della Biblioteca conserva circa seimila unità, la metà delle quali proveniente dallo Schedario Rapetti, mentre il restante è frutto di una sorta di sedimentazione progressiva delle acquisizioni fatte dalla Biblioteca nel corso del tempo, di cui fanno parte alcuni lasciti, tra i quali merita di essere citato quello del critico d'arte Leandro Ozzola. Il fondo fotografico, che comprende anche molte cartoline, è particolarmente ricca di immagini riguardanti Piacenza e la sua provincia. In questo percorso proponiamo alcune cartoline provenienti dallo Schedario Rapetti, molte delle quali viaggiate nei primi decenni del Novecento.
Dialetto e tradizioni nel Centro Etnografico
Il Centro etnografico provinciale, proveniente dall'Amministrazione Provinciale di Piacenza che lo istituì nel 1979 per contribuire alla raccolta e all'organizzazione sistematica della documentazione relativa alle tradizioni popolari della nostra provincia, è formato da libri, riviste, nastri e dischi sonori, fotografie, ritagli di stampa, manoscritti, opuscoli ed estratti che indagano le tradizioni popolari del territorio piacentino. Di particolare rilievo sono le sezioni di antropologia, dialettologia, arte, musica, teatro e letteratura popolare, dimore rurali, fotografia e cultura popolare. Nella nastroteca si trovano raccolti circa 1400 documenti della tradizione orale rilevati in 55 diverse località della nostra provincia. Tutti i materiali provengono da registrazioni originali effettuate sul campo a partire dagli anni Sessanta.
Il dialetto a scuola
Il materiale proveniente dal Centro Etnografico è davvero variegato. Alla fine degli anni Settanta Il Centro promosse alcuni laboratori presso scuole cittadine volte a raccogliere proverbi, detti, cantilene e filastrocche in dialetto piacentino. Ne proponiamo alcuni esempi di allievi della classe II A e IV B della Scuola elementare di San Lazzaro.
Mesi
Piacenza può vantare una straordinaria tradizione nell'ambito della pubblicazione di almanacchi e calendari. In particolare gli almanacchi agrari del periodo compreso tra l’Otto e il Novecento costituiscono un’importante fonte di studio per capire come i “mesi contadini” siano sempre stati fondamentali nella vita della comunità. In questo percorso proponiamo alcuni fogli di almanacchi e calendari relativi al mese di febbraio.
Febbraio
Gennaio
Curiosità tra gli scaffali
Nel 1955 l'Ente provinciale per il Turismo di Piacenza dedicò una giornata ai Poeti dialettali dell'Alta Italia, con lo scopo di “far conoscere le nostre opere d'arte e monumentali e le nostre località d'interesse turistico, specie a categorie costituite da persone sensibili all'arte e alle bellezze naturali, offrendo anche lo spunto per qualche ispirazione artistica da ricavarsi dalle località visitate”. All'incontro, che si tenne il 10 luglio 1955, parteciparono una ventina di poeti dialettali, accolti a nome dei poeti vernacolari piacentini e della Famiglia Piasinteina da Egidio Carella. Qualche tempo dopo fu presentata la pubblicazione Tributi di poesie dialettale a Piacenza (Società tipografica Porta, settembre 1955) con la raccolta di poesie dedicate a Piacenza.
Pubblicheremo a mano a mano questi interessante contributi. Partiamo con La mia Piasenza pubblicata dal poeta brianzolo Alberto Airoldi (versione in dialetto e in italiano)
Il 19 maggio 1956 furono ospiti a Piacenza diversi pittori di Milano. L'iniziativa era stata organizzata dall'Ente provinciale per il turismo. A seguito della giornata diversi artisti partecipanti fecero omaggio all'Ente e alla città con diversi tributi. Da questi si evidenzia come l'aspetto enogastronomico fosse molto apprezzato. Ora presentiamo il disegno di Aldo Mazza dedicato ai salumi piacentini e la poesia in dialetto lombardo di Luigi Medici che esalta la coppa di Piacenza.
I motti dialoganti piacentini
Ernesto Tammi, nel 1938, fece uscire un interessante opuscolo dal titolo I Motti dialogati piacentini, editi nella collana della Biblioteca della Giovane Montagna, fondata e diretta dall’onorevole parmigiano Giuseppe Micheli. Nella rivista “La Giovane Montagna” e nelle pubblicazioni ad essa afferenti molti sono gli articoli dedicati anche a Piacenza e alle sue tradizioni popolari. Enesto Tammi pubblicò questo breve opuscolo, dopo aver raccolto per alcuni anni i motti dalla viva voce dei contadini, dei commercianti, degli artigiani… . Ma cosa sono i motti dialogati? Come ben viene evidenziato nell’introduzione è un genere composto di botta e risposta: “a domande innocenti si risponde sempre in modo scherzoso, spesso con sarcasmo, talvolta anche con parole o frasi alquanto pepate e licenziose”.
Inferno dantesco
Nel 1938 il professor Ettore De Giovanni pubblicò la seconda edizione di un'interessante traduzione in dialetto piacentino dell'XXI Canto dell'Inferno della Divina Commedia. Lavoro certo non facile confrontasi con Dante! Ma il professore, come si legge nell'Introduzione, era certo di farcela. Con qualche interessante avvertenza: “volli inoltre che tutto nella traduzione fosse piacentino e di San Raimondo, perché credo che il dialetto di questa località possa quasi vantare di essere la Siena del piacentino”. E ciò premesso, “scendiamo con Dante nel cerchio ottavo, Bolgia quinta, fra i barattieri, i “sugaman”.
Il dialetto piacentino nell'opera di Bernardino Biondelli
La Biblioteca Passerini-Landi conserva un interessante volume di Bernardino Biondelli, Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano, Bernardoni, 1853. Bernardino Biondelli (1804-1886) fu un linguista, numismatico ed archeologo italiano. Si occupò in particolare di indoeuropeistica e dialettologia. Nel saggio del 1853 troviamo diversi riferimenti al dialetto piacentino.
Il Biondelli fa, tra l'altro, una carrellata di documenti antichi attestanti il dialetto. É citata anche l'opera di Antonio Anguissola, Compendium Simplicium et Compositorum, edita da Bazachi nel 1587 (l'opera è stata interamente digitalizzata ed è consultabile sulle Teche digitali piacentine). “E' invero interessante il trovarvi il nome dei vegetabili espressi nelle varie lingue latina, greca, italiana, araba, spagnuola, francese, tedesca e piacentina: e sebbene si vegga chiaro che l'autore si studiò dare alle voci piacentine forma e desinenza italiana, ciò nullostante non vi traspare meno evidente la consonanza del dialetto d'allora coll'attuale” (Biondelli, pag. 507).
Concorso di poesie dialettali piacentine 1932
Panorami di Piacenza
Nel 1955, a cura della sezione di Piacenza dell'Associazione italiana maestri cattolici, venne edito un bel volume dal titolo Panorami di Piacenza, pubblicato per i tipi Scuola artigiana del libro. Il libro rappresentò la sintesi finale di un lungo lavoro di aggiornamento sulla cultura storica ed artistica regionale promosso dall'Associazione stessa. Diversi sono i capitoli di argomento legato al dialetto. Si segnalano in particolare il saggio di Aldo Ambrogio, direttore dell'Ente provinciale del Turismo di Piacenza ed Ispettore onorario alle antichità, dal titolo Le tradizioni e quello di monsignor Guido Tammi, docente dell'Università cattolica di Milano e Prefetto degli Studi del Seminario di Piacenza, Il dialetto. In questa sede riportiamo, a titolo di esempio, alcune pagine.